Dopo le prime e famose sentenze di vittoria del 2010 e del 2011, che hanno segnato la svolta in materia di rimborso dei buoni postali, e dopo le tantissime e successive sentenze che abbiamo ottenuto in diversi Tribunali d’Italia da Sud a Nord, comprese ben 2 sentenze positive in grado di appello – primo studio legale in Italia a vincere anche in secondo grado – presso la Corte d’appello di Torino nel luglio 2017 e presso il Tribunale di Cosenza in secondo grado, stesso mese stesso anno – facciamo il punto sulla situazione dei buoni fruttiferi postali “caduti in successione”.
Ma ricordiamo quali erano e quali sono le ragioni per cui Poste, con motivazioni parzialmente modificate nel corso del tempo, a tutt’oggi non procede al pagamento a vista dei suddetti buoni.
E’ ormai assodato che Poste ritenga che quando il buono è intestato a più soggetti di cui, uno o più sono deceduti, questi cadano interamente in successione e che non si possa, pertanto, procedere al rimborso se non prima di aver istruito la c.d. “pratica di successione”.
Ma in cosa consiste esattamente questa benedetta pratica di successione?
Beh, oltre alla facile compilazione di un’istanza di rimborso e alla sottoscrizione di alcuni moduli
forniti dagli stessi impiegati, consiste (ATTENZIONE) nella pretesa di esibizione della Dichiarazione di successione.
La dichiarazione di successione che è proprio quella (e nessun altra “analoga” o “equivalente”) che gli eredi del defunto dovrebbero presentare entro un anno dalla morte del proprio caro.
Inoltre – e quindi a prescindere dalla esibizione della dichiarazione di successione, utile a capire quanti e quali sono gli eredi del defunto – Poste richiede la contemporanea firma per il rimborso di tutti gli eredi del cointestatario defunto (la cui identità ed il numero si evincono dalla dichiarazione di successione).
Eredi, quindi, che secondo i postali dovrebbero essere fisicamente presenti per quietanzare, tutti insieme e nello stesso momento, la domanda di rimborso. E questo, nonostante sui buoni sia stata apposta la clausola di p.f.r.
Quindi, per capirci, se il buono è intestato ad Emma e a Raffaella, due amiche (socie di studio) e muore Emma, Raffaella non può incassare i buoni se gli eredi di Emma non hanno presentato (o non vogliono presentare) la dichiarazione di successione all’Agenzia delle Entrate. E se poi magari gli eredi di Emma, che è figlia unica, non sono rintracciabili o vivono chissà in quale altra parte del mondo, Raffaella rimane bloccata. Ne’ Raffaella può sostituirsi agli eredi di Emma nella presentazione della dichiarazione di successione: questo perchè non solo non sarebbe giusto che Raffaella si sobbarchi il pagamento delle imposte di successione che non le compete, quanto soprattutto perché questa è una dichiarazione ed una pratica che per legge possono fare solo gli eredi del defunto.
Ma poi perché Poste chiede questa Dichiarazione di successione o comunque, da alcuni mesi, la “dichiarazione di esonero” (che è quella che gli eredi devono comunque presentare, sempre all’Agenzia delle Entrate, quando il defunto non lascia beni o questi non hanno un valore superiore ad un certo tot, circa 25.000 euro)?
Beh, secondo gli impiegati ed i legali di Poste:
1) intanto perché la c.p.f.r. smette di essere valida quando uno degli intestatari decede (Tesi questa assai illogica, considerato che la c.p.f.r – che è quella con cui le parti si sono concesse la possibilità di riscuotere autonomamente, senza cioè la presenza o la firma degli altri cointestatari – è una clausola non certo imposta da Poste ma è una libera scelta dei sottoscrittori dei buoni che potrebbero, quindi, anche decidere di non prevederla). Ma che se la prevedono significa che hanno espresso l’intenzione di renderla effettiva per l’intera durata dell’investimento.
In pratica, seguendo tale ragionamento per Poste, sarebbe giusto modificare unilateralmente, quanto
le parti hanno pattuito al momento dell’acquisto dei buoni e quindi sarebbe giusto, non considerando quella clausola, tradire così la fiducia e la volontà per esempio del genitore che, in vita, ha diviso equamente il proprio patrimonio dando un terreno al primo figlio, una certa somma di danaro liquido al secondo figlio e cointestando l’equivalente in buoni al terzo figlio (povero terzo figlio!).
E sì diciamolo forte e chiaro: non è la legge a prevedere una tale cosa, ed infatti mai nessun cointestatario è stato avvisato, al momento dell’acquisto dei buoni, della presunta decadenza della c.p.f.r in caso di morte. Altrimenti quale nonno, quale anziano genitore avrebbe scelto la clausola proprio per facilitare la riscossione, sapendo che di lì a 30 anni (cioè la durata massima di questi titoli) non sarebbe stato presente per il rimborso?
E che Poste abbia taciuto e tirato fuori dal cilindro tale assunto in tempi recenti, lo dimostra non solo l’alto numero di contenzioso, ma anche i comportamenti differenti degli uffici postali: alcuni infatti rimborsano senza problemi pur sapendo della morte del cointestatario; altri si rifiutano categoricamente; altri ancora liquidano solo la quota del cointestatario superstite; altri – cosa gravissima – subordinano l’incasso al contemporaneo investimento in altri prodotti finanziari postali (come ci è stato riferito e scritto da tanti malcapitati) ecc.
2) Il secondo motivo per cui, sempre secondo Poste, è necessaria la dichiarazione di successione è che al momento del rimborso, sarebbe suo compito individuare gli eredi del defunto per tutelare i loro diritti e cioè fare in modo che tutti (ma sarebbe più giusto dire nessuno!) abbiano la propria quota parte.
A tali provocazioni, perché di questo si tratta, replichiamo facendo notare che:
– se i buoni sono cointestati a più soggetti, per legge si presume che essi siano di proprietà di tutti i cointestatari in parti uguali. Quindi, in ossequio a tale principio, al più Poste potrebbe bloccare il pagamento della quota del defunto ma non impedire al cointestatario vivente di esercitare il proprio diritto e quindi riscuotere i propri soldi, anche prima dei 30 anni per come previsto dalla legge.
– Ma poi, diciamolo, la legge non prevede assolutamente che Poste, faccia il “controllore” delle ragioni dei vari cointestatari o degli eredi di questi.
I compiti richiesti a Poste sono:
a- Verificare se il cointestatario che sta chiedendo il rimborso sia in possesso materialmente dell’originale dei buoni
(e dato che i buoni vengono consegnati in un unico originale anche quando i cointestatari sono più di uno, è evidente che già questa circostanza sia segno che il cointestatario è quello deputato e autorizzato dagli altri a ritirare i soldi). E questa considerazione è ancora più vera se si considera che Poste prima di procedere al rimborso deve controllare, per legge, se siano state fatte o meno opposizioni da altri cointestatari o da eventuali eredi. Ed è altrettanto chiaro che in assenza di opposizioni, Poste non solo non possa ma non debba proprio pensare che ci siano interessi da proteggere o che i cointestatari desiderino una tale protezione.
b- Poste deve verificare, tramite l’esibizione dei documenti di riconoscimento, che il soggetto richiedente sia l’effettivo intestatario dei buoni.
In presenza di queste due condizioni Poste deve pagare a vista i buoni o, al più tardi, entro 15 giorni se i buoni vengono richiesti in un ufficio diverso da quello di emissione. D’accordo, oggi tutti gli uffici postali dicono di non avere abbastanza contante per effettuare nello stesso giorno la liquidazione e che sia necessario prenotare il pagamento…va bene, assecondiamo questa necessità operativa purchè non si debba aspettare più di 7 giorni, qualunque sia la somma da riscuotere!
Ora, probabilmente qualcuno in questo momento starà pensando: “Si ma se io sono erede di uno dei cointestatari ma non so dell’esistenza di questi buoni ed il cointestatario che incassa non mi avvisa, io subisco un danno”.
Assolutamente no, perché alla morte del dante causa, fatta una normale “ricerca titoli” in Poste (cosa che si fa sempre anche in banca), gli verrà comunicato che il defunto era comproprietario di un tot numero di buoni che sono stati incassati da Tizio o Caio, in data 3 giugno 2015. A quel punto, avrà il diritto di rivolgersi a chi ha incassato e pretendere – se del caso – la propria quota.
Ovviamente se, come quasi sempre accade, i buoni incassati rappresentavano somme donate dal defunto a chi ha effettivamente riscosso, o se chi si ritiene leso ha invece avuto la propria parte perché magari è intestatario di altri buoni con il defunto, o perché in vita il defunto ha bonariamente diviso il proprio patrimonio con gli eredi conferendo una somma liquida al primo figlio, donando un terreno al secondo figlio e acquistando l’equivalente in buoni al terzo figlio che infatti è in possesso degli originali dei buoni, beh, il falso “estromesso” non potrà pretendere alcunchè!
Bene, dovete considerare che quanto contenuto in questo articolo (scritto in un linguaggio semplice) è stato però esposto e argomentato nei vari giudizi e tali considerazioni sono state condivise non solo dal Tribunale di Roma nella nostra famosa sentenza del 2014 (che viene citata in tutte le sentenze) ma anche successivamente: nel 2015 dal Tribunale di Torino e dal Tribunale di Cosenza; a maggio a febbraio e a novembre del 2016 di nuovo dal Tribunali di Roma(con giudici diversi) e a luglio 2016 dal Tribunale di Cosenza; nel 2017 dai Tribunali di Torino, Cosenza, Pisa e ancora di Roma; nel 2018 dai Tribunali di Lucca, 2 volte a maggio e a giugno, dal Tribunale di Bologna, dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dal Tribunale di Trani e a luglio dai Tribunali di Busto Arsizio e di Lecco.
Insomma, se tutti questi Giudici, di Tribunali diversi, in oltre 25 sentenze hanno dato ragione agli avvocati Iocca e Chiappetta che si stanno battendo dal 2009, vorrà forse dire che effettivamente Poste sbaglia a non rimborsare i buoni cointestati ad un soggetto defunto.
Ma proprio a tal proposito, se siete interessati, vi chiediamo di continuare a leggerci e vi invitiamo a seguirci sul nostro canale youtube, perché torneremo a parlare dei BFP.
Si perché se qualcuno ci vuole mettere i bastoni tra le ruote e ritiene di poter sostenere che invece Poste faccia bene a tenere questa condotta, ma lo fa con motivazioni giuridiche aberranti, degne dell’uomo comune e non certo dell’uomo di diritto che tanto ha studiato e che continua a studiare, è bene che si sappia che grazie al quinto potere -ossia il web- ne parleremo pubblicamente e giuridicamente, lasciando giudicare chi deve e chi vorrà.
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