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Continuando ad analizzare e “criticare” la sentenza in epigrafe, (i primi due motivi sono stati analizzati nel post n. 27) vediamo ora il terzo motivo per cui la Corte di Appello di Roma ha errato – a nostro parere (parere che però, ricordiamo, ha comunque trovato conferma in diversi Tribunali d’Italia e in altre Corti di Appello) – a dare ragione a Poste Italiane.

In un altro passaggio della sentenza, infatti, la Corte, manifesta la convinzione secondo cui la ratio dell’art. 187 del D.P.R. 256/89 sia quella di evitare un pregiudizio nei confronti degli eredi del cointestatario scomparso o, addirittura, di Poste stessa.

Una tale impostazione non è condivisibile!

1) Intanto, finisce per frustrare l’interesse del contraente originario (cointestatario superstite). Per quale sensata ragione, sarebbe giusto bloccare anche la sua parte dei soldi fino a quando gli eredi del defunto non si decidano a fare la successione e a presentarsi all’ufficio postale per chiedere il rimborso?

E se gli eredi del defunto non sono individuabili, non sono reperibili o si rifiutano di prestare la quietanza “collettiva” fino a far maturare il termine di prescrizione previsto dalla legge (come ha giustamente evidenziato, in una causa seguita dal nostro studio, il Tribunale di Torino in una sentenza di gennaio 2017)?

Del resto, ricordiamoci che l’erede o gli eredi del cointestatario defunto subentrano nella stessa posizione del de cuius (contitolare defunto) diventando titolari degli stessi diritti e con gli stessi limiti. Pertanto, se il contratto (cioè l’acquisto del buono alle specifiche condizioni riportate su di esso) era stato concepito sin dall’inizio con la possibilità, per tutti i contitolari, in costanza di rapporto, di riscuotere in qualunque momento interamente i buoni, e senza autorizzazione degli altri (c.p.f.r.), nulla deve cambiare con la morte dell’altro cointestatario.

2) E poi, il ruolo di Poste nel rapporto contrattuale (come hanno evidenziato sia la Corte di Appello di Torino del 2017 che altri Tribunali d’Italia dove abbiamo conseguito la vittoria a favore dei risparmiatori) non può ritenersi essere quello del garante dei diritti degli eredi di uno dei cointestatari trattandosi, quello intravisto dalla Corte romana, di un compito in alcun modo giustificato dalla natura dell’attività d’impresa, pur connotata da profili di interesse pubblico, svolta dalla stessa.

3) Senza infine considerare che la funzione, e l’interesse, della società collocataria dei buoni è solo quella di adempiere correttamente l’obbligazione di pagamento di cui è onerata. Nel momento in cui verifica che il richiedente sia in possesso degli originali dei buoni; che sui buoni ci sia la c.p.f.r.; che il suo nome sia riportato sulla cartula del titolo e che quindi sia uneffettivo contitolare, rimborsando il buono non incorrerà in alcuna responsabilità.

La riscossione integrale dei buoni non viene ad incidere sul criterio di ripartizione dei relativi diritti tra i vari contitolari o loro aventi causa. L’incasso dell’intero a favore di uno di tali creditori solidali non esclude infatti che gli altri creditori (nel caso all’esame, gli eredi del cointestatario defunto) abbiano il diritto di ricevere, se spettante, la loro quota e, in caso di mancato versamento spontaneo, di procedere al recupero della loro quota mediante rivalsa nei confronti del creditore liquidato da Poste. Tali conseguenze attengono però al rapporto interno tra concreditori e non riguardano Poste che ha il solo obbligo di pagare al legittimo contitolare con p.f.r.