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Chi di voi ha letto il nostro ultimo POST, avrà fatto caso che, dopo aver sconsigliato di intraprendere un’azione collettiva destinata, con ogni probabilità, alla dichiarazione di inammissibilità, abbiamo giustificato la nostra convinzione facendo cenno a due ragioni, di cui la prima ritenuta fondamentale. Ma poi… abbiamo dimenticato di relazionare sulla seconda di queste ragioni. Poco male. Vorrà dire che oggi riprendiamo il discorso partendo proprio da là.

Ricorderete che il primo motivo per cui abbiamo evidenziato che un’azione collettiva sarebbe ad alto rischio di fondatezza è quello per cui, nel caso di specie (vale a dire di diminuzione degli interessi all’atto del rimborso), non c’è inadempimento contrattuale di Poste; non c’è una pratica commerciale scorretta; non c’è, insomma, la necessità di ripristinare la legalità violata. Il problema è semmai l’opposto: l’esistenza cioè di una legge che – seppur datata, inattuale e, per giunta, abrogata – a Poste conviene osservare ed applicare alla lettera. E questo fino a quando i nostri Tribunali (anche solo con più sentenze di primo grado), o la Corte Costituzionale (con un’unica, illuminata, pronuncia) porranno fine all’andazzo, dichiarando che tale legge va interpretata in modo diverso o che è, addirittura, illegittima.

Venendo ora all’altro motivo per cui, a nostro sommesso avviso, non è possibile procedere con la Class Action, questo risiede nel fatto che, contrariamente alle apparenze (e a quel che si racconta), attraverso lo studio approfondito dell’attività legislativa che, sui BFP, si è susseguita negli anni, l’occhio dell’attento Avvocato si accorge che non esiste affatto, nei possessori di buoni, quella omogeneità delle posizioni che è condizione indefettibile per proporre, tutti insieme, una valida azione comune.

Volendo tradurre il concetto appena espresso in un linguaggio ancor meno giuridico, possiamo dire che dalla ricerca che il nostro Studio sta conducendo dal 2009, è emerso, per esempio, che la “condizione giuridica” dei possessori dei BFP delle serie M, N e parte della O, non può essere considerata identica a quella dei possessori delle serie successive. Per questi, infatti (e parliamo dei sottoscrittori di buoni emessi tra il 1976 e fino alla fine di maggio 1984), a nostro sommesso parere, esiste un indiscutibile diritto di ottenere il rimborso dei buoni per il valore equivalente ai saggi di interessi inizialmente pattuiti. Ne consegue che maggiore sarà, pertanto, la loro possibilità di vedersi riconosciuto il diritto in sede giudiziaria. E si badi, tutela piena, conseguibile anche in assenza di una pronuncia della Corte Costituzionale sulla illegittimità della legge.

Diverso è il discorso per le serie di buoni successive, ed in particolare, per i buoni emessi dopo metà giugno ’84 e fino a giugno ’86, per i quali riteniamo invece che – in vigenza della legge considerata, allo stato, legittima – la possibilità di ottenere il rimborso è legata a fattori quali la sottoscrizione di moduli cartacei di vecchio conio piuttosto che di conio nuovo, gli errori degli impiegati, le omissioni informative ecc.

A ben vedere, parliamo quindi di situazioni diverse, da valutare caso per caso, che richiedono un’attenzione particolare che non può essere svilita da una trattazione comune ed indifferenziata né ricondotta ad un pregiudizio di categoria. Questo se si vuole veramente offrire una seria possibilità di vittoria.

Per concludere con un esempio, si spera, chiarificatore, si tenga presente che nel 2014 è stata bocciata una delle pochissime class action avviate in Italia da una famosa Associazione di Consumatori, contro una società medica, colpevole di aver immesso sul mercato uno strumento di osservazione diagnostica inefficiente. In quel caso, la Cassazione (in terzo grado), pur riconoscendo la condotta commerciale illecita da parte dell’azienda che aveva diffuso informazioni scorrette, alla fine ha ritenuto inesistente l’elemento della omogeneità della causa in quanto i sintomi causati non erano simili: alcuni consumatori accusavano infatti mal di testa, mentre altri solo nausea!

Quindi concludendo, ci sentiamo di ribadire che: promuovere o aderire ad un’Azione Collettiva non è di certo il rimedio efficace che deve seguire il risparmiatore realmente intenzionato a riavere i soldi inizialmente promessi da Poste!